Il titolo non gli rende un buon servizio, perché il discorso di Gherardo Colombo, nella sua intervista di ieri al Fatto, a proposito del presidente Napolitano, è meno rozzo di come viene presentato al lettore. Metterla sul Quirinale nei termini: “Sostiene Renzi? Appoggiava pure Stalin…” è semplificazione degna di Gasparri ma non di chi è stato a lungo il “dottor sottile” della procura di Milano. Fortissimo in procedura, meno in storia, dà l’impressione di addebitare a Baffone, all’epoca già morto da tre anni, l’invasione dell’Ungheria, effettivamente sostenuta da Napolitano e da molti altri, per esempio il celebratissimo Berlinguer. Ma in realtà il discorso di Colombo è più sottile, naturalmente, e si può riassumere nella descrizione di un percorso, quello di Napolitano, iniziato nel clima totalitario novecentesco e poi, sia pure autocriticamente, risistemato sui binari del “predominio della politica”. Ha un senso. Solo che una critica del genere se la possono permettere, in una chiave non reazionaria, solo pochissimi liberali o liberal-socialisti dell’epoca. Pannella e pochi sopravvissuti, per dire. Non un rappresentante di quella élite milanese che negli anni fra i 60 e i 70 trovava posto dietro i ritratti di Stalin portati in processione da Mario Capanna per poi finire trent’anni dopo nei salotti televisivi di Gad Lerner a rappresentare la “società civile” fra clavicembali e flauti. Ecco, a me quella élite non solo fa rivalutare Napolitano ma fa rimpiangere Pietro Secchia.
Bordin Line - 30/07/14
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