in stazione C’è il Vernacoliere. Censurato Treviso, edicola «oscura» la locandina. «La gente si lamentava». Il gestore: «È formidabile ma le parolacce sono troppe»
TREVISO — Capita che pure il Vernacoliere, il mensile livornese di satira e umorismo, venga censurato: una frase ritenuta troppo scurrile che da qualche giorno è stata velata, resa quasi irriconoscibile. L’edicola della stazione ferroviaria di Treviso ha detto basta alle volgarità e deciso di oscurare le parole che potrebbero urtare la sensibilità dei clienti, oltre che dei molti viaggiatori in transito davanti alle vetrine. «È una rivista dissacrante, l’irriverenza e la mancanza di rispetto sono nell’essenza stessa del Vernacoliere – spiega il titolare Moreno – ma un po’ di pudore, al giorno d’oggi, non guasta». Il tutto, tiene a precisare, senza snaturare la locandina. La parola incriminata infatti è stata sapientemente celata sotto dei post-it azzurri che passanti e curiosi possono facilmente alzare per poter svelare il mistero: «Abbiamo coperto solo qualche lettera, se no si distorce il senso della frase, e non è questo il nostro intento».
Come dargli torto: la parola è breve, inizia per C, è chiaramente un sostantivo singolare di genere maschile, e non è «cane». Più sotto, un altro riferimento poco fraintendibile a un organo del corpo umano non è stato camuffato, «perché esiste, li ho visti io in Sardegna». Non è la prima volta che Moreno prende una decisione simile: «Quando ritengo che la parola non sia adatta a venire esposta all’esterno, la copro parzialmente. Il fatto è che la parola colpisce subito e fa scalpore, o almeno molto più di quanto ne susciti una donna nuda in copertina » commentano l’uomo e la moglie, indicando da Mario Cardinali è scritto in vernacolo livornese, e fa della parlata dialettale i giornali estivi. C’è una sottile vena d’ironia anche nel gesto dell’edicolante, che solletica la curiosità degli avventori. Ogni possibile offesa alla suscettibilità borghese viene eliminata, ma agli appassionati del vernacolo non vengono impedite né la visione, né la successiva risata.
Chi si sente urtato può fare a meno di leggere, chi è interessato non ha che da avvicinarsi e spostare gli adesivi. Il Vernacoliere, la cui prima stampa risale 1982, affonda le sue radici nel periodico di controinformazione libertaria Livornocronaca, nato nel 1961. Il giornale diretto il suo marchio di fabbrica, con una feroce e paradossale critica delle notizie d’attualità: «Adopera il linguaggio labronico enfatizzandone la tipica ironia popolaresca, anche col frequente ricorso a termini d’ambito sesso-anatomico cosiddetti triviali », si legge sul sito internet del mensile. Proprio come nel caso in questione. «Niente di personale, sappiamo tutti che le locandine del Vernacoliere sono così - sottolinea Moreno - ma qui davanti passano moltissime persone, anche ragazzini, e alcuni clienti si sentono offesi dalla volgarità». La moglie Mara porta un esempio: «Pochi giorni fa una signora si è lamentata, diceva che è ora di finirla con le parolacce in prima pagina ». Anche i lettori biasimano e disapprovano la volgarità, parrebbe, ma non tutti: la locandina, esposta dal 3 agosto, è già stata rubata, proprio l’altro ieri. «È pieno di collezionisti – conferma Moreno – c’è chi viene apposta a chiedere che gliene metta una da parte, che vuole che sia, a me non fa differenza ». Ovviamente al naturale, senza maschera protettiva.
(via corriere della sera)
L'edicolante nordico doveva fare solo una cosa: non venderlo il Vernacoliere…Ma gli affari sono affari.