Mia madre mi viene a trovare a Milano e mi chiede “Come stai?” e io le cito Stefano Benni a memoria mentre sorride e scuote la testa. Come sto è una domanda che mi fanno tutti quando mi rivedono dopo un po' di tempo e io davvero non so cosa rispondere. Vorrei vivere di sole in Irlanda, essere amata da chi mi dimostra il bene per dispetto – per poi ricriminare la purezza di quel bene – stare con il mio cane, svegliarmi la mattina e trovare la forza di uscire dal letto se non ho più sonno.
Vorrei non stare male pensando al lavoro che non faccio più. Vorrei non stare male pensando se riuscirò a fare qualcosa del mio futuro.
E mi chiedono come stai.
Sbaglio avverbi. Non è la forza, è il coraggio di uscire dal letto. Di mettermi davanti a una pagina vuota e dire: “bene adesso scrivi”. Dare vita alla storia che ho nella testa, fare ricerca, addomesticare il mio senso di inutilità.
Come stai.
Cerco di soffocare l'esigenza di perfezionismo, il pensiero dei miei quasi ventisette anni, pochi e troppi per voler fare qualcosa che non sia incanulare, drenare, sorridere, salutare per sempre, dire addio.
Come stai.
Sto qua come vuoi che stia? Questa città certi giorni è bellissima altri è una condanna. Oggi sull'autobus osservavo i forasacchi venir spinti dal vento e mi chiedevo anche io come stanno. Mi arrabbio per cose di poco conto e piango quando leggo le notizie che pubblica Emergency.
Come stai.
Sto che certe cose hanno un nome troppo grande per essere detto, la gente ti guarda male e pensano che tu voglia solo attenzioni. Ma che me ne faccio delle attenzioni quando non riesco neanche a identificare chi c'è nello specchio? Sei tu l'artefice delle tue azioni? Stai decidendo tu?
No, non sei tu. E quindi sto bene, è un periodo così ma si va avanti. E poi a me piace cambiare, lo sai, non riesco a stare ferma.