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Scrivere per caso

@miscarparo70 / miscarparo70.tumblr.com

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Reblogga se non c'è nessun problema se qualcuno viene nel tuo blog e ti confessa qualcosa in anonimo.

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Omaggio a Bukowski

C’è un sacco di gente, là fuori, convinta che non ci voglia poi tutto ‘sto granché, a scrivere. In effetti è vero: non ci vuole. Voi credete che ci vogliano le mani, per scrivere. O la testa. Sbagliato: ci vogliono le palle, e servono piene. Perché qualsiasi demente, con il suo piccolo giardino contornato da uno steccato bianco, può comperarsi una cazzo di macchina da scrivere e cominciare a pigiare sui tasti. Ma cosa credi che ti racconterà? Del suo lavoro? Del matrimonio? Dei figli? Vi rendete conto che qualsiasi idiota può vivere le stesse esperienze? E lo fanno… perdio, se lo fanno!

Invece, per scrivere, bisogna essere come un contenitore. Bisogna pur essere pieni di qualche cosa, per poterla buttare fuori su una tastiera. O da una penna. La vodka, per esempio, va benissimo: i russi sanno il fatto loro. È limpida e trasparente come la verità. Secca come il deserto. Piena di fuoco, come la pancia di una vecchia locomotiva, che sbuffando con fatica ti rovescia addosso il suo alito caldo fino a portarti dall’altra parte. Perché, quando hai fatto il pieno di vodka, è il “di là”, quello che cerchi. Come i gatti, che stanno sempre dalla parte sbagliata della porta.

La cosa che fa schifo, invece, sono i sobri che vogliono andare. Come se davvero capissero cosa vuol dire, andare di là. O gli importasse davvero di farlo. Convinti che possano raccontartelo, e che tu sia tanto stupido da starli a sentire. Da pendere dalle loro labbra. Ma le uniche labbra da cui mai valga la pena di pendere sono quelle che vedrai un giovedì d’estate, ubriaco, mentre fissi alle tre di notte il muro scrostato di una camera in affitto; come se ce l’avessi  lì davanti, la tua donna. Solo che lei ti avrà lasciato, quel pomeriggio. Lei era magnifica. Troppo di tutto. Con quelle gambe che tu guardavi fin su, ma che lei ha usato per girare i tacchi e andarsene. Allora ringrazierai che, sotto al suo culo, la bottiglia non abbia niente; e ti farai un altro bicchiere. L’ennesimo. Che si fottessero tutti.

Ecco perché è difficile. Così dannatamente difficile. Almeno, una volta, la vita degli scrittori era più interessante dei loro romanzi. Ma adesso? Cosa potrà mai scrivere di interessante un figlio di puttana che ha la vita piatta come una tavola stirata in una pressa? Cosa potrà raccontare di nuovo, che non sia già stato detto, ripetuto, camuffato, tritato, ribadito, trasformato almeno un milione di volte da qualcun altro che non era certo peggio di lui? Non può. Serve almeno una birra, come base. O forse venti. E un paio whisky.

Che ti rimescolino dentro. Che ti riempiano le vene e ti facciano dimenticare tutta quella gente, là fuori. Che fa paura, perché è matta. O arrabbiata. O solo stupida. Per sopportare quello che tutti quegli idioti temono e che io, invece, mi porto nel taschino. La morte. Come se ci fosse qualcosa di terribile, odioso, sporco, triste, nel morire. Ma non è diverso dallo sbocciare di un fiore. È molto peggio non viverla, questa vita, che pisciarla fuori senza un perché, alla rincorsa del lavoro, dei soldi, dei film, di Dio, del tè e dei pasticcini, dei buongiorno-buonasera-piacerediconoscerla. Dimenticando che siamo fatti di pensiero. E di sangue. E di ossa e di dolore. Bisogna parlarci, con la morte: “Ehi, bella, io sono pronto. Anche oggi, come ieri. Quand’è che vieni a prendermi? Ché sono stanco di stare qui a bere, a fumare, a scopare, solo per tirare fuori le parole dal mio cervello”. Perché scrivere è volare, è accendere un fuoco. Per me scrivere è tirare fuori la morte dal taschino, scagliarla contro il muro e riprenderla al volo.

***

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La ragazza dello sputnik - Haruki Murakami 

Questo è il mio libro del 2014, il libro che più di tutti gli altri letti durante quest’anno mi ha colpita, turbata, affascinata, spaventata, graffiata. E’ il primo libro di Murakami che ho letto. Mi ha aperto le porte del mondo di quello che ora è uno dei miei scrittori preferiti. 

E il vostro libro del 2014 quale è stato? 

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miscarparo70

"David Golder" di Irène Némirovsky

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Elisa non se l’aspettava

Elisa non se l’aspettava. Era uscita tranquilla, quella sera, perché si era ormai messa il cuore in pace: il pensiero di Giulio aveva smesso di tormentarla, di farla sospirare, di farla piangere già da un po’ ed era entrato nel limbo del dimenticatoio trasformandosi in un ricordo qualsiasi. Aveva smesso di rimanere chiusa in casa e, quel pomeriggio, era andata a farsi un giro al museo. Verso sera, rinfrancata dalla calma e dai colori delle pennellate, aveva accettato un invito per un aperitivo. In quel bar si era trovata a parlare con Antonio, un ragazzo che conosceva solo di vista, di tele e colori e si era divertita a raccontargli le vicissitudini di pittori che lui non aveva mai sentito nominare ma che, dalla viva voce di lei, gli erano sembrati vivi come mai avrebbe creduto. L’aveva ascoltata a lungo, ma la cosa che Elisa non s’era aspettata è che, al contrario di tutti i maschi pari età e single, non le avesse chiesto di rivederla. Eppure le era sembrato sinceramente interessato.

Le era piaciuto quel ragazzo, così aveva chiesto lei, ad un’amica comune, una scusa per incontrarlo ancora. E poi un’altra volta. Finché si erano scambiati il numero di cellulare.

Era una ragazzo tranquillo, Antonio. Grande e interessato ascoltatore, anche lui con una storia importante alle spalle di cui, però, non voleva parlare: lei se n’era andata quasi di colpo, come se fosse scappata. Ma lui era timido e ad Elisa non era sembrato il caso di insistere, tanto più che neppure lei avrebbe avuto piacere di tornare a parlare di Giulio, visto che ormai era uscito dai suoi pensieri.

Antonio aveva trovato un lavoro; non era certo un grande lavoro ma era a tempo determinato e loro si volevano bene. Anche Elisa credeva che, prima o poi, sarebbe riuscita a trovare un lavoro stabile e non il solito contratto a progetto: così avevano deciso di andare a vivere insieme. Un po’ per dividere le spese e un po’ per moltiplicare il loro amore. Perché si volevano bene. Avevano scoperto che nella loro casa stavano bene, loro due, stavano così bene insieme che ormai gli amici li vedevano di rado, fuori.

Però Antonio, un giorno, era tornato a casa dicendo che c’erano dei problemi, al lavoro. Da quel giorno il suo viso si era fatto sempre più scuro, ma si era ostinatamente rifiutato di dire ad Elisa che problemi fossero. Lei, d’altra parte, ne sapeva così poco di quel mestiere che non aveva insistito; aveva pensato, però, che per aiutarlo lei avrebbe dovuto accettare un lavoro qualsiasi. Un giorno era tornata a casa raggiante, dicendo che aveva trovato un posto come commessa in un negozio di abbigliamento maschile e che per un po’ non avrebbero avuto problemi a pagare le bollette.

Antonio, invece, non era stato felice della scelta e dell’intraprendenza di Elisa. Avevano litigato come mai avevano fatto. Il contratto però era firmato e i soldi in banca erano pochi, così il primo giorno di lavoro si era presentata con un trucco un po’ più pesante del solito. Per qualche settimana era andato tutto bene, ma dopo il primo stipendio Antonio aveva creduto che lei si fosse voluta tenere parte dei soldi. Avevano discusso ancora, e il giorno dopo si era presentata al lavoro con gli occhiali da sole, lamentando una fastidiosa congiuntivite. Il proprietario non era stato contento, perché voleva che le commesse fossero sempre belle ed eleganti per i clienti, ma c’era passato sopra.

Antonio invece no, così quando lei aveva potuto toglierli e si era truccata, aveva fatto una scenata e se ne era andato di casa sbattendo la porta. Era tornato a notte fonda, puzzando di alcool e con le mani pesanti come martelli. Il viso era stato risparmiato, ma Elisa aveva patito le pene dell’inferno il giorno dopo, seduta alla cassa.

Distrutta dai dolori, quando era andata a casa aveva detto ad Antonio che non avrebbe voluto mai più passare un giorno così e che sarebbe tornata dai suoi, ma lui si era messo a piangere, scongiurandola di rimanere. Che lui aveva solo paura di perderla, visto che lei era tutto il giorno in mezzo a uomini assai più ricchi di lui. Che la paura di perdere il lavoro non lo aiutava a essere sereno. Elisa aveva pensato che forse era colpa sua se Antonio non era così sicuro di lei: come avrebbe potuto non perdonarlo?

I lividi sul suo corpo però erano aumentati, di pari passo con le sere che lui era rimasto fuori con gli amici a bere. Ma lei credeva che il suo amore potesse cambiare quell’uomo e l’aveva sempre perdonato, fino alla notte in cui si era trovata al pronto soccorso per “essere caduta dalle scale”.

***

La storia di Elisa è la storia di tante donne. Di troppe donne. Però, il finale di questa storia, felice o tragico che sia, non dipende dal Michele scrittore. Dipende dal Michele uomo. E dipende anche da te, lettore o lettrice, che ti sei imbattuto/a in questa pagina. Perché tutti conosciamo un’Elisa. O potremmo conoscerla. Quando Elisa sarà davanti ai nostri occhi, toccherà a noi fare in modo che il finale sia felice, perché anche solo facendo finta di nulla, saremo stati noi a scrivere un finale tragico.

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Pagliacci

Il camerino di un teatro è sempre un posto strano, un misto tra lo spogliatoio di una palestra e un salone di bellezza; le luci attorno allo specchio eliminano tutte le possibili ombre, illuminando senza speranza tutto quanto si trovi nel loro raggio d’azione. Lo osservo mentre sta finendo di truccarsi: è lui, il grande Pagliacci. Il più grande. Talmente grande e famoso che i dottori lo prescrivono contro la depressione, come se fosse una terapia. Non posso fare a meno di osservarlo, con l’ombra di un sorriso, mentre stende il cerone bianco: le smorfie del viso, che aiutano a non lasciare zone meno colorate di altre, sarebbero già di per se stesse buffe da vedere; mi scapperebbe persino da ridere, ma non posso. Non ora, per lo meno; bisogna aspettare che i suoi piedi calchino il palco: solo allora lui comincerà a dare la stura a tutto il suo repertorio e il pubblico si sganascerà dalle risate, dimenticando per due ore tutte le brutture e lo schifo della vita, rimasta chiusa fuori dal teatro.

I bambini, ipnotizzati dal suo naso rosso, lo adorano. Le mamme, che hanno potuto apprezzarne la mascella volitiva ed il fisico scolpito sulle riviste patinate dalla parrucchiera, lo venerano. Addirittura i papà trovano che sarebbe magnifico conoscerlo perché, con le sue battute sempre pronte, saprebbe risollevare il più soporifero dei party. Il rosso carminio che sta spalmando sulle labbra lo trasforma di colpo da una maschera piatta in un volto ridente, di un sorriso enorme e limpido come quello degli infanti. Le fossette, appena visibili nel bianco delle guance, rendono contagioso il buonumore che sprizza da quella bocca: basta guardarlo per pensare a tutte le cose belle della vita, tutte quelle piccole cose semplici che rendono l’esistenza davvero degna di essere vissuta.

Terminata la bocca si dedica agli occhi: praticamente invisibili fino ad un secondo fa, con rapidi colpi di eye-liner sono diventati improvvisamente enormi, sottolineati da quel tratto nero. Ma, così facendo e vicino come sono, non posso non vedere quanto siano tristi: c’è una malinconia senza speranza, nascosta dietro quelle pupille. Un abisso nero di disperazione, insondabile, che annulla tutti i desideri; una cappa opprimente e tetra di scura fuliggine che, come una nebbia malefica, soffoca qualsiasi anelito alla gioia, qualsiasi empito di fiducia nella vita. Non c’è speranza, in quegli occhi.

Il contatto con quelle iridi mi riempie di uno strano freddo; mi si congela la spina dorsale e un brivido diaccio corre giù per la schiena. Vorrei fuggire, ma non posso: mi sembra di essere inchiodato qui e le gambe rifiutano ostinatamente di muoversi. Vorrei fuggire, scampare all’orrore del nulla che trabocca dalle sue iridi. Vorrei urlare, persino, mentre  il tanfo putrido dei suoi sogni marciti mi invade le narici e mi provoca un conato. Il suo volto è un sepolcro imbiancato, il delirio di una vita priva di qualsiasi aspettativa incartato in un magnifico pacco di gioia e risate.

Ha terminato il trucco: su una faccia divertita e gioiosa si affacciano, beffarde, due orbite spente e tristi come le finestre vuote di un casolare abbandonato; il fragile castello di carte della sua falsa ilarità crolla insieme alla fiducia che riponevo in lui, allagandomi l’anima di una amarezza senza fine.

Non posso più sopportare oltre: una furia cieca mi sale dallo stomaco; mi tremano gambe e braccia mentre il mio corpo cerca contemporaneamente di muoversi e di rimanere immobile. Ma la rabbia infine ha il sopravvento: un suono arcaico, un rantolo gutturale mi esce dalla gola prima piano e poi sempre più forte; il mio viso si contrae in una smorfia di odio puro mentre desidero con tutte le mie forze vederlo morto. Le ultime remore cadono e il rantolo si trasforma in un urlo bestiale: quell’uomo deve smettere di imbrattare la purezza del mondo con la sua esistenza; le mie dita si contraggono e le nocche sbiancano: il mio pugno trema fuori controllo e poi parte, dritto, per ricacciare in quella gola il ghigno di fronte a me.

[rumore di uno specchio che si rompe…]

***

Queste storie sono scritte su richiesta dei lettori. Richiedine una o leggi quelle già scritte in Dimmi che storia scrivere.

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inritum

Funziona cazzo

Mi ricordo che quando ero ritornata da poco con il mio ex, avevo espresso il desiderio che la sera stessa volevo che mi tornasse a dire ti amo, e indovinate cosa mi ha tornato a dire dopo tanto tempo quella sera stessa? Mi ha detto ti amo…non so se sia una coincidenza o doveva andare così a prescindere, ma si è sempre avverato quasi tutto quello che chiedevo quindi non arrendetevi mai ragazze/i, non arrendetevi mai, credete in ciò che volete e in ciò che amate e lo avrete perché l’amore e le persone buone e che hanno dato tanto amore per gli altri vincono su tutto.

Dio si avvera sempre ogni volta qualsiasi cosa chiedo

speriamo

perchè solo a me non funziona..?!

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senza-cielo

4 yeeh.

Ragazzi ha funzionato dinuovo e funziona sempre

ma vaffanculo tutti.

dio mio, mi sono resa conto solo ora che ho rebloggato due volte questo post desiderando due cose diverse ed entrambe si sono realizzate. non so se sia solo una coincidenza, ma diamine io voglio crederci.

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reblogged

Ciao. Cosa intendi con comportamento emergente? Se capisco bene, la coscienza per te si può riscontrare in qualsivoglia specie animale e non solamente nell’uomo? Se intendi questo, non sono assolutamente d’accordo: la coscienza gode del carattere dell’esclusività che è affidato all’uomo. miscarparo70

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