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Suchende

@flebofobia / flebofobia.tumblr.com

Agnese, 19 anni.
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Una piccola forma umana sta in mezzo ad una pioggia torrenziale, ma l’acqua non la sfiora, ed è talmente piccola da rifugiarsi sotto ad una foglia. È tutto amplificato tra il verde dal quale ascolta lo scroscio di enormi gocce, in piedi fissando la liquefazione dell’universo. L’armonia dei suoni culla e protegge la piccola forma umana, priva di una direzione, ma esistente tra le tante scelte, dunque immobile, ad osservare. Ancora per un po’, prima di chiudere gli occhi ed abbandonarsi al dondolio dentro al quale si raggomitola diventando minuscola. Scompare tra il verde, la pioggia, tra l’acqua. Ora è parte di un tutto, un piccolo niente trascinato e inconsapevolmente trascinatore di altri piccoli niente.

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reblogged
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bugigat-tolo

mi manca molto essere una persona innamorata di qualcuno, di qualcosa, di un'idea, di un progetto, magari non è nemmeno l'amore che mi manca, è la passione

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Senti la vita che sfugge, fuori controllo, non ti appartiene. Le persone sono il tuo tempo, e tu non sai prendertene cura: non ricordi le date, non le chiami, non le abbracci. Hai creduto che non sentire più nulla fosse il rimedio migliore per lenire il dolore che hai provato una volta. Hai creduto che fosse insostenibile, ma non lo era. Adesso però lo sai e ti perseguita l'ansia del tempo, devi correre, non devi morire, non deve morire il tuo tempo perché​ tu devi abbracciare, devi dire "ti voglio bene". Questi giorni si sgretolano tra le dita, non puoi non pensarci e ti torturi. Quanto ancora perderai?

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Lo sai anche tu, che siamo dentro ad una storia infinita. Non l'ho voluto io, non l'hai voluto tu, siamo stati travolti da un uragano. Certi giorni pensiamo di esserne finalmente fuori, pensiamo di aver trovato la nostra pace, per poi scoprire di essere momentaneamente caduti nell'occhio del ciclone. Non sappiamo quanto durerà quell'inganno, quando la vita smetterà di tormentarci, e allora godiamo di quegli attimi in cui pensiamo di aver ritrovato il nostro equilibrio, non sapendo che quell'equilibrio è il filo di una ragnatela.

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La tenerezza dell'incurvatura delle labbra di chi si ama, pervade come un brivido lungo la schiena, s'introduce tra gli abissi della mente con la leggiadria di un soffio e l'intensità di una fitta al cuore. È l'esplosione di un'imperturbabile energia, una scossa imprevedibile e stupenda che fa sentire vivi fino al pianto. È la purezza del desiderio d'infinito che si coglie in un sguardo fraterno, in una carezza abile nel rallentare i battiti e i fremiti delle angosce, è la parola più rassicurante incapace di essere comunicata tramite il paradosso del linguaggio.

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Con il passare del tempo ho acquisito solamente una certezza che, per quanto sia un'ovvietà, è diventata il leitmotiv delle mie giornate: la notte amplifica le sensazioni. La notte ci ritroviamo aggrovigliati ed aggrappati ai nostri pensieri, le distanze spaziali e temporali, anche se minime, sembrano luoghi ed epoche sconfinate che s'interpongo tra noi e qualcun altro. Balenano nella mente alcuni sorrisi, gesti, sguardi che pensavamo perduti per sempre; ci sentiamo un po' più soli e malinconici nel rivivere quei frammenti di esistenza che, lentamente, si distaccano da noi, però, prima di abbandonarli davvero, sappiamo che si sono nascosti bene in qualche angolo inesplorato in cui fin troppe istantanee, ritraenti i nostri peggiori e migliori ricordi, hanno preso polvere. La notte siamo nudi, ma non proviamo vergogna: al buio i nostri occhi non possono incrociarsi, e percepiamo solamente l'atmosfera tesa spezzata dalle vibrazioni dei nostri respiri.

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Era una di quelle giornate in cui si imponeva di mascherare il volto con un lieve sorriso malinconico, nel tentativo di non essere un peso per gli altri né per se stessa, con quei lunghi sospiri pessimisti mentre poggiava la fronte contro la finestra. Lo sguardo era triste come sempre, in quel giorno di pioggia era un po' più ombroso del solito, grigio come il cielo. Quelle giornate la facevano sentire piccola e fredda, in certi momenti tremava, pensando di essere vento, in altri piangeva, pensando di essere pioggia. Era lì, seduta su una sedia, estranea e completamente immersa in quel tumulto di fenomeni atmosferici che forse erano trasposizione della sua mente. Eppure la sua tristezza era sempre fraintesa: lei quella vita la voleva, voleva sentirla tutta e in ogni sua parte del corpo, aveva paura di perdersi in alcuni fotogrammi della sua vita, di rimanere indietro, ferma ad aspettare qualcosa d'indefinito, mentre tutto le scorreva e le correva davanti agli occhi. Lei non voleva più essere il grigio pallido e indefinito del cielo, non voleva essere lo sfondo di se stessa. Lei voleva essere la tempesta su cui posava il suo sguardo impenetrabile da dietro il vetro di una finestra.

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Forse farà male anche questa volta. Anche questa volta perderò il sonno, la fame, il fiato. E non sarò ancora rassegnata di fronte a questa arresa forzata, che fa rabbia, fa paura, fa semplicemente male, malissimo. Mi piaceva credere di poter risolvere tutto davvero, di poter diventare forti insieme, aggrappandoci ad ogni sogno, ogni progetto che da qui sembra davvero troppo grande ed irrealizzabile. Ci perdiamo sempre nelle giornate di pioggia; lentamente scivoliamo via l'uno dall'altra, come liquefatti anche noi stessi tra le gocce del cielo. Forse quando piove non sappiamo rimanere solidi e compatti, le nuvole grigie ci entrano dentro, o forse sono nostre trasposizioni nel cielo, allora ci sentiamo vuoti, svuotati di ogni affetto, di ogni forza, e perdiamo, ci perdiamo.

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