Ogni vita è una pausa dell'universo
che ho scoperto guardando la mia respirare.
Ogni vita è una pausa dell'universo
che ho scoperto guardando la mia respirare.
[29/11, 23:18] Chiara: Io gli ho detto "allora vabbè passeremo un bellissimo mese a Napoli da coppietta e poi il 17 gennaio ci vedremo per l'ultima volta e faremo due ore di discorso il cui succo è che ci stiamo iniziando ad innamorare ma nessuno di noi due regge la distanza e che non abbiamo piani di riavvicinarsi a breve termine poi scopiamo scoppiamo a piangere e ci diciamo addio"
[29/11, 23:19] Chiara: E niente lui si è rattristato un sacco
Modern art is much understandable once seen in the wider context of tax avoidance and money laundering
Jessica Harrison. Karen, 2013, found ceramic, epoxy resin putty, enamel paint
Napoli, ottobre 2021.
Posso ufficialmente affermare che non è né avere vent'anni né avere gli esami però non è neanche qualcosa in più ecco
Tu hai i tuoi occhi d'acqua bollita
e io la cenere sul fornello.
Guarda, ho imparato a parlare di me così:
sono una bambina che bussa, sono le sei,
sono i rammendi di mia mamma.
Io non so più dirti cosa mi succede:
ho perso l'arroganza che ci vuole
per parlare del barattolo del sale.
È da due anni, pensavo,
che non perdo un tappo che sia uno
ma scrivo il pavimento con la polvere
quando cammino. Mi sbagliavo.
Occhi neri, tu mi hai detto
facciamo che eravamo sulla torre,
lì c'era un biliardino e io ti amavo tanto tanto.
Ma qui non si parla dei giochi, di bambine,
del cuore operaio, del cuore padrone:
qui si parla ancora delle mie ginocchia.
decisamente troppi rattusi qui sopra
Il personaggio preferito di qualcuno mi accompagna mettendomi la manina sproporzionata tra le dita.
È la quinta estate con tanto d'occhi. Non ho ancora capito checcos'è.
Un tizio per strada mi ha gridato UN CAPPOTTO QUALCUNO MI DIA UN CAPPOTTO UNA COPERTA e allora al banchetto del merchandising ho comprato lo sticker incazzato tra l'altro così faccio capire alla coinquilina stronza che deve smetterla di rubarsi la caraffa dell'acqua ogni mattina.
Piede di amico.
Questa voglia di prendere le mie parole di mesi fa tra le mani e cullarle come fossero neonate.
Ti voglio bene, Chiara. Oggi sono una rondine sovrappeso che costruisce il nido su una grondaia di un condominio degli anni '70.
Non voglio tornare indietro. Tu non ci sei mai stato così tanto per me come da quando me ne sono andata. Io non ti ho mai voluto così tanto come ora che ti ho allontanato. Andarsene è stato come lasciare un brutto lavoro, passare l'esame della patente o andare in pensione. Finisci ed è un po' svegliarsi con gli occhi impastati, tutti attorno si congratulano e ti dicono che è un nuovo inizio - e veramente le cose ti sembrano davvero nuove, come opzioni sbloccate. Tantissime!
Che poi, Imparare A Bastarsi è un concetto troppo ampio. È vero soltanto che dopo una rottura la testa rientra nel suo alloggiamento per non saltare mai più via dal collo come un pupazzetto a molla, o che c'è una spunta in più sulla to do list del mese corrente e un quadratino in meno per i mesi successivi. Il punto è che per me ogni contatto con una persona, anche in fila dal tabaccaio, significa un paio di nuovi panni in cui doversi imparare a mettere. E va da sé che relazione è uno spreco di energie empatiche monumentale. È una fatica. In questo senso sì, ora mi basto - ora mi basta mettermi nei miei, di panni. Non che prima ci riuscissi bene, ma almeno non è più il doppio del lavoro. Però finisce qui per me. Solo una fatica in meno. Non sto meglio con me stessa, non mi amo di più.
Mi sto pentendo? Sì. È un po' patetico, non credi? Torno al discorso di prima, a te. O meglio, a quello scontro di sforzi empatici che è stato il nostro rapporto. Comunichiamo, comunichiamo, comunichiamo, si dice in tutte le poste del cuore. Hai presente Se mi lasci ti cancello? L'ho visto la sera prima di lasciarti. La tipa con i capelli blu assolutamente non stereotipizzata dice in un flashback smarmellato a Jim Carey che parlare costantemente non vuol dire per forza comunicare. Ci ho pensato su e ho capito, è vero, sono due cose diverse, infatti io a volte parlavo e a volte comunicavo. Ma tu non comunicavi, e neanche parlavi mai. Ci vuole una certa abilità, lo riconosco. Lascia perdere comunque perché non so essere cattiva. "Un po' colpa mia, un po' colpa tua", ripetevi come un mantra, e se il silenzio è la tua colpa, la mia è stata trattarti come una lista di cose da fare e premi da ritirare. Quando ancora non ci parlavamo, pensavo che tu avessi i sentimenti sinceri e un carattere del cazzo, e io i sentimenti solo per il cazzo e dei modi molto sinceri. Un mese dopo non sono più così dura con noi. È tutto molto più sfumato, esistono tuoi discorsi a fiume, esiste un mio volerti, perché sei tu e non perché tu mi vuoi. C'entra quello che ti ho detto prima: io non voglio tornare indietro. Voglio sorridere come mi hai fatto fare oggi pomeriggio, sentirmi desiderata come quando ti ho mandato la foto di quel sorriso. Cercarci solo perché ci va, e non perché si deve. Prima ero in ansia finché non arrivava un tuo messaggio. Ora arriva come una sorpresa a rischiararmi la giornata. Mi piaci, e quando me ne sono andata pensavo che non fosse mai stato vero, invece mi piaci. Come dicono i bambini, mi piaci. Mi piaci.
Alla fine non ci sto sperando, sarebbe patetico ripeto, e complicato. Un po' nevrotico, e poi faticoso - stavolta non come capire perché mi fissa la signora in fila davanti al tabaccaio, ma per lo spazio e il tempo in cui viviamo. Non so se reggo. Mi rassegno pensando che dovrei saperlo da quando avevo quattordici anni e le canzoni viaggiavano col bluetooth - sai che ami qualcosa solo quando la lasci andare.
Quando è arrivata la telefonata dall'ospedale oggi mamma mi ha abbracciata, è scoppiata a piangere. Singhiozzava "papà...".
Sono rimasta sulla sedia, e poi sul divano, immobile. Succede sempre così col dolore. Io che non mi sento in diritto. Io che mi siedo davanti a me stessa. Il corpo che traballa. Io che non sento nulla. Io che cerco di sentire qualcosa. Quel qualcosa è una sfilza di "avresti dovuto" e "avresti potuto". La flebile scusa del covid. Quella di Bologna. Flash della mia infanzia. Lui non c'è. Flash di mamma, sei anni fa, che mi dice "Mi dispiace ammetterlo, ma al funerale dei miei genitori non piangerò". Poi,
Italo è na zuppa 'e faggiole
Italo è na zuppa 'e faggiole
Italo è na zuppa 'e faggiole
Una moneta sul mio comodino, il deposito scuro, qualche certificato di nascita.
Salutami a.......
Le due poesie che ho scritto - "l'arto fantasma del ricordo" e "moriranno chiedendosi scusa" - iniziano a sembrare un po' più pretenziose e significare un po' meno.
Io che ritorno in me, mia madre che si rammarica di avermi vomitato tutto addosso. Le dico, "Tranquilla". Vorrei dirle anche guarda mamma che non sto così per te, cioè sì, ovvio, ma non è che tutta questa situazione mi abbia fatto un gran bene. Poi però penso al mio unico ricordo.
"Tranquilla, mamma". "Sono qui, quando vuoi". Caffè per tre, tisana per due, piatti lavati, contorni, soffritto, tisana, cena sul vassoio per papà.
Vuoi che rimango, mamma? Se vuoi non parto, non torno a Bologna. No, non prendo il treno, resto qui con te. Ma sì mamma tanto capirai, Italo è na zuppa 'e faggiole.
La mia visione del mondo in un guscio di nocciolina.
Se non capite i meme mi dispiace ma o siamo di due generazioni incomunicabili o non possiamo essere amici.