Pistacchione
"Branco di maledetti sfigati" penso tra me e me mentre scelgo di prendere le scale normali, quelle statiche, invece di quelle mobili. Opto per l'opzione sana e sportiva che mi permette di giudicare gli altri e la loro sedentarietà, schiavi delle macchine, pigri, larve. Io sono un uomo migliore, pieno di virtù che mi riconosco giusto un secondo prima di infilarmi in pasticceria e concedermi il più burroso cornetto ripieno al pistacchio che i soldi possono comprare.
Sono dovuto tornare in ospedale, gli occhi hanno ceduto nuovamente. Quello che mi fa ridere è che ieri ho fatto la comparsa in un film. Non era previsto. Ero al corrente di alcuni conoscenti alle prese con questo progetto “cinematografico” ma non pensavo mi avrebbero mai chiamato. Non fosse che avevano il ruolo perfetto per me. "Hai voglia di fare la comparsa e stare seduto in sala d'attesa di un ospedale?". Sembrava veramente fatto apposta.
L'ho scritto non so quante volte che uno dei miei più grandi talenti è saper sfruttare i tempi morti e ora l'ho fatto davanti a una cinepresa. Mentre attoruncoli dalle dubbie capacità provavano a ripetere le loro battute io facevo il Paziente n.5, intento a leggere un libro. Un occhio più attento noterà che sto leggendo il mio stesso libro. Un piccolo easter egg che ho inserito per farmi ridere quando guarderò il film. Se gli occhi saranno ancora con me, altrimenti me lo farò raccontare.
Stamattina sono seduto per davvero in ospedale e realmente sto aspettando non che qualcuno urli "azione!" ma che mi dicano cosa fare. Dopo quasi vent'anni ancora mi costringo a non perdere la speranza e dare agli altri la possibilità di dirmi cosa fare, perché se fosse per me saprei benissimo cosa fare.
Mentre arrivava la metropolitana ho guardato lo spazio che c'è tra la motrice e i binari. Se mi butto sotto ma in aria cambio idea e mi rannicchio e mi faccio piccino piccino, riesco a sopravvivere?
Riesce a passarmi sopra senza recare alcun danno?
Voglio sempre calcolare che ci sia per me la possibilità di tornare indietro sui miei passi, soprattutto quando si tratta di decisioni importanti.
Questi pensieri non mi spaventano più perché ho imparato a conoscermi. Sono troppo codardo per fare qualcosa di definitivo. Accetto il lento deterioramento e la fine come inevitabile conseguenza che non posso controllare e mi piace così perché adoro dare la colpa agli altri.
Mi immagino a parlare con San Pietro alle porte del paradiso e dire:
- Eh no, mi scusi, ma lei mi deve fare entrare, ok che sono stato per tutta la vita un egoista, bastardo e pure vigliacco, ma ha ben visto come è andata a finire, ho allontanato tutti, il mio gatto mi schifa, ho pure perso i capelli e non ho fatto tutto lo sport che ho sempre promesso di fare perché mi sono accettato così come sono e per questo sono stato punito con una morte orribile che non ho scelto! Quindi, mio caro Pietruccio, lei mi deve fare entrare, me lo merito!
- Ma veramente qua leggo che la morte è stata causata da soffocamento per eccesso di cornetti al pistacchio…
- Suvvia sono dettagli!
- …mentre praticava il decimo atto di onanismo della giornata.
- Il suo capo non le ha insegnato a perdonare?
Il regista ieri mi ha detto che sono davvero bravo a recitare quello che aspetta di venire chiamato da un dottore. Ho accettato il complimento con un certo orgoglio. Un tempo avrei dovuto combattere contro il mio egocentrismo per essere stato messo sullo sfondo invece di diventare uno dei protagonisti, probabilmente quello più sguaiato e tendente ad urlare. Invece ora guardo queste persone recitare e provarci un sacco a risultare convincenti e sono soddisfatto del mio invecchiamento che mi ha fatto scendere a compromessi con le mie aspettative.
Un giorno, dopo anni di lotta, io e le mie aspettative ci siamo seduti al tavolo e abbiamo iniziato una discussione accesa. Io continuavo a far loro presente che se certe cose non accadono e non sono mai accadute, forse allora, non è sbagliato lasciar perdere, che la speranza è l’ultima a morire quando si tratta di film o racconti per bambini, ma per noi è meglio non dico ucciderla, però farle fare una vacanza a tempo indeterminato.
Le aspettative mi hanno ascoltato, anche perché, alla luce dei fatti e del continuo finire ridimensionate un po’ ne avevano le palle piene.
Abbiamo trovato un accordo. Abbiamo accompagnato la speranza in aeroporto, dandole un telefono per le emergenze. Ora mi sa che è a Bali, da qualche parte in spiaggia a farsi massaggiare i lunghi capelli da un influencer senza scrupoli.
Io e le mie aspettative siamo tornati a casa, abbiamo parlato dei piani futuri e trovato numerosi accordi impensabili su carriera, musica, amore, famiglia, autoerotismo. È stata una trattativa estenuante ma ci siamo riusciti. Ora hanno le dimensioni di un criceto e le ho sistemate sotto alla mia scrivania in una gabbietta piena di paglia. Sono così carine quando si svegliano e si mettono a girare sulla ruota e non vanno da nessuna parte, proprio come nella realtà. Corrono veloci veloci e la ruota gira e gira ma stanno ferme, che spreco di energie!
Poi scendono dalla ruota, ci guardiamo soddisfatti e tornano in letargo.
Oggi ho preso il telefono per scrivere un messaggio alla speranza, mentre sta in spiaggia a Bali. Siccome ne ho bisogno le ho chiesto “Andrà tutto bene vero? Mi daranno una nuova terapia che finalmente funzionerà?” e niente, nessuna risposta per qualche ora.
Poi si è acceso lo schermo del telefono. “Certo, certo, andrà tutto alla grande. Io invece mi sono infilata un attimo in un megacasino cioè, devi aiutarmi, magari se puoi mandarmi un po’ di soldi, devo pagare non so quanto un influencer che mi ha rifilato una marea di prodotti per capelli promettendomi che avrebbero risolto il problema della calvizie e niente, poi le cose sono sfuggite di mano, pensavo di riuscire a corcarlo di legnate da sola e invece tutti quei muscoli erano veri e non generati da una IA, ora mi ha rinchiuso nella sua cantina e se non pago non mi lascia uscire, quindi dai, in onore dei vecchi tempi, mandami uno dei criceti con banconote di piccolo taglio”.
In ospedale ancora non hanno detto il mio nome. Ancora aspetto.
Lunedì tornerò in terapia, non più psicanalisi però. Normale psicologia temo. In tedesco poi. Non tanto perché sento di averne bisogno ma per riattivare il superpotere passivo aggressivo supremo che oramai non posso più usare, quello che mi faceva dire con orgoglio: “Sai, secondo me dovresti provare ad andare in terapia cioè, io ci vado, secondo me farebbe bene anche a te”.
Mi manca essere snob e dire agli altri cosa fare.
Adesso nessuno mi da ascolto, nemmeno sulla qualità dei cornetti al pistacchio (dato che uno di loro mi ucciderà). Si tratta solo di capire quale sarà l'ultimo.
Quello di un’ora fa, o quello che mangerò non appena uscirò dall’ospedale?
Chi lo sa! Suspance!