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Curiositasmundi

@curiositasmundi / curiositasmundi.tumblr.com

Un dolce stendersi e venir meno. È dunque passata. Non doversi più alzare, dire basta a questo squallido lavorare e far progetti. Dietro ogni parola si cela in realtà uno sbadiglio.

Ellen West

" Mentre una squadra sta smontando pezzo per pezzo gli addobbi della festa, un'altra squadra in un paese vicino senza perdere tempo, li rimonta: per illuminare un altro santo, un'altra festa. Scendono e salgono per scale precarie e paurosamente oscillanti. Il loro è un lavoro di grande pericolo e di grande pazienza. Da aprile fino ad ottobre sempre in cima ai pali indaffarati con pinze, tenaglie, martelli, cordame e ferro filato a smontare e rimontare. E poi avvitare migliaia, milioni di lampadine colorate. Quelle grosse e sporgenti, per evitare che si rompano vengono riposte in apposite casse, una per una. Quelle piccine rimangono vicino alle travature. Le lampadine sono, a basso voltaggio e cosí si sventa il pericolo dei furti, nelle case infatti il voltaggio piú alto, di 220 volts circa, e se venissero usate le lampadine delle feste, si fulminerebbero subito. Tutto l'addobbo si monta nel giro di due-tre giorni. È un lavoro pesante, ma anche di precisione: basta un errore nell'allineare i pali e le lampadine e si rovina tutta la geometria dei disegno. Gli appassionati si mettono al centro della strada e guardano da un capo all'altro del viale illuminato. Giudicano con severità tutto l'addobbo, l'allineamento, la vivacità e la fantasia dei colori. Tutti i montatori vengono ospitati a spese dei comitato feste. Durante le pause possono godersi anche loro la festa, banchettando con carne arrosto e buon vino che si portano dalle loro parti. Durante l'inverno, a parte alcuni specialisti che lavorano nella ditta a tempo pieno per costruire gli accessori, segare, inchiodare pali, dipingere addobbi e montare le parti elettriche, devono arrangiarsi, perché l'attività cade in letargo. Allora fanno di tutto. chi va a zappare, chi a raccogliere le olive, chi a raccogliere cicorielle selvatiche, chi si dedica alla sua arte preferita: a rubare. "

Tommaso Di Ciaula, Tuta Blu. Ire, ricordi e sogni di un operaio del Sud, Feltrinelli (collana Franchi Narratori, n° 26), 1978¹ ; pp. 54-55.

The Chinese made another American re-industrialisation meme

Les Chinois ont créé un autre mème de réindustrialisation américaine 10 avril 2025, premier jour des sanctions

Stanotte, mentre il mondo dormiva e si parlava di pace nella Domenica delle Palme, Israele ha bombardato un ospedale. Sì, un ospedale. A Gaza City. Il pronto soccorso dell’ospedale arabo, più altri reparti. Medici, infermieri, pazienti portati via in barella sotto le bombe. Scene da incubo, confermate da immagini e testimonianze dirette.

Dopo aver sparato sulle ambulanze, ora bombardano direttamente gli ospedali. Non è il primo. Non sarà l’ultimo. È l’ennesimo crimine contro l’umanità firmato da uno Stato che si proclama democratico mentre pratica la barbarie, con la complicità silenziosa di chi dovrebbe indignarsi e invece volta la faccia.

E l’Italia? Muta. Il governo, tutto intento a giocare coi simboli religiosi e sventolare valori cristiani, si guarda bene dal condannare chi bombarda proprio quei valori nella loro forma più concreta: la cura, la vita, la pietà. Si chiama codardia. O peggio: complicità.

Cosa deve ancora succedere per smettere di chiamare “difesa” un genocidio? Perché continuiamo a studiare il passato mentre accettiamo, in silenzio, un presente identico nei suoi orrori?

Se questo è il mondo civile, allora forse è tempo di ridefinire il significato di “civiltà”.

Non serve guardare la fantascienza distopica alla tv

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Gaza, genocidio nemmeno troppo nascosto

Le notizie che giungono da Gaza sono frammentarie, a volte incontrollabili, anche perché la Striscia è quasi inaccessibile alla stampa internazionale e a osservatori indipendenti. Chi entra lo fa a proprio rischio, come dimostrano le decine di reporter uccisi in questi mesi di guerra. Tuttavia, le voci dall’inferno arrivano, grazie a siti web e a coraggiosi cronisti. Le ha raccolte il Courrier International, citando varie fonti. E il panorama è agghiacciante.

Pulizia etnica organizzata

Da quando Israele ha rotto la tregua a Gaza il mese scorso, i palestinesi stanno subendo attacchi molto simili a quelli dei primi giorni dell’offensiva dello Stato ebraico, racconta il sito web israelo-palestinese ‘+972’. Secondo il ministero della Salute di Gaza (controllato da Hamas), l’esercito israeliano ha ucciso più di 1.300 persone e ferito più di tremila nelle ultime tre settimane, portando il bilancio complessivo nella enclave a più di 50 mila morti. Più di 280 mila abitanti di Gaza sono stati costretti a fuggire dalle loro case, per ammassarsi nelle «zone umanitarie» decise da Israele, con un perimetro sempre più ridotto.

Armi della fame e della disperazione

«Mentre la totale chiusura all’ingresso degli aiuti umanitari è entrata nella sua sesta settimana, la fame e la malnutrizione minacciano di travolgere l’intera popolazione di Gaza. Nel frattempo, Tsahal (l’esercito israeliano o Idf) continua a radere al suolo quartieri residenziali con bulldozer e robot esplosivi. Anche le scuole, dove i palestinesi cercano rifugio, subiscono intensi attacchi. Il 3 aprile Israele ha bombardato la scuola Dar Al-Arkam, nel quartiere di Tuffah, nel nord-est di Gaza, provocando 31 morti e 70 feriti». Secondo Emily Tripp, direttrice della ONG Airwars, gli attacchi israeliani non avevano più raggiunto un tale livello di intensità «dalle prime settimane di ottobre 2023» – periodo durante il quale la ong aveva registrato «un numero di vittime civili quasi senza precedenti».

‘Corridoi militari’ a dividere le macerie

A Rafah, la città più meridionale di Gaza, la scorsa settimana, l’esercito ha annunciato di aver circondato la città per creare un nuovo corridoio militare. «La grande maggioranza degli abitanti di Rafah è stata costretta ad andarsene, sotto la minaccia delle bombe», spiega Ismail Al-Thuwabtah, un residente della città, a ‘+ 972’. «La violenza dei bombardamenti e l’insicurezza hanno reso la città una zona devastata, priva di qualsiasi servizio di base». Anche a Khan Younis, Israele continua a prendere di mira i quartieri residenziali. Il 4 aprile, l’esercito ha bombardato la casa della famiglia Al-Aqqad, nel quartiere di Al-Manara. «Sono state uccise venticinque persone. Khaled Al-Aqqad, 30 anni, si trovava in un’abitazione vicina quando la casa dei suoi parenti è stata colpita senza alcun preavviso». «A mezzanotte siamo stati svegliati dall’esplosione di un enorme missile che ha scosso l’intero settore”», racconta a + 972. «Siamo solo civili nelle loro case. Non vogliamo essere spostati in zone pericolose. L’esercito attacca tutti senza eccezioni. Vogliamo che gli altri paesi intervengano e vengano a salvarci, altrimenti ci uccideranno tutti fino all’ultimo».

‘Mamma perdonami’

«Mamma, perdonami. È la strada che avevo scelto. Volevo aiutare le persone. Scusami, mamma. Ti giuro, volevo solo aiutare le persone». Queste sono le ultime parole di Rifaat Radwan, un giovane soccorritore palestinese che lavorava a Gaza. Le ha pronunciate prima di morire, mentre perdeva sangue accanto a un’ambulanza, circondata da soldati israeliani a Rafah. «Lui e la sua squadra erano partiti alla ricerca di feriti. Nessuno di loro doveva tornare», scrive il Middle East Eye. «L’esercito israeliano ha aperto il fuoco senza preavviso e ha ucciso Radwan e altri 14 soccorritori. I loro corpi sono stati ritrovati sepolti in una fossa comune, alcuni con le mani o i piedi legati, uccisi a bruciapelo. Uccisi nella loro uniforme, con in mano la radio, i guanti e il materiale medico. Il ministro degli Esteri israeliano ha assicurato che le ambulanze non erano identificate, lasciando intendere che l’attacco dell’esercito israeliano era giustificato». La strage è stata documentata anche da un’inchiesta del New York Times, e Israele non l’ha più potuta negare.

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-Via-

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